Monografia, in lingua italiana e inglese, a cura di F. De Santi, della Mostra antologica al "Forte Spagnolo" dell’Aquila, "Fondazione Mastroianni" di Arpino, "Accademia d’Egitto" di Roma, "Centro Polivalente" di Bagnocavallo e al "Palazzo Ducale" di Mantova, anni 1996-1997, ed. "Fondazione Mastroianni".




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Testo critico del catalogo



"Il canto del colore" di VINCENZO BALSAMO


I.
         Per Vincenzo Balsamo, si è detto di recente, si verifica quanto Satre diceva per Giacometti, e cioè che l' artista "parla sempre di sè; e, divorandolo, ignora il riguardante". In realtà;, raccontando la sua vita, Balsamo domanda soprattutto osservatori disposti freudianamente alla "simpatia", alla complicità;: e il crescere, dipinto dopo dipinto, del suo "diario d' immagini", non sarebbe probabilmente comprensibile al di fuori di un' esigenza profonda di comunicazione, di dialogo.
Al pari di un ragno ansioso e paziente (il suo stilema espressivo, non dobbiamo dimenticarlo, è di ascendenza proustiana), il pittore pugliese-romano da lunghi anni fila una sua rete dorata e vischiosa di segni, di colori e di immagini: distillando, in margine alla sua ricerca iconica, fogli di taccuino lievemente, dolcemente ossessivo. Solo lasciarsi prendere da questo rêve labirintico, afferrandone insieme lo spessore, la durata reale, può permettere di accostarsi in modo giusto al cuore della sua vicenda creativa.
Il "canto del colore" di Balsamo è la poesia interrotta di un segreto continuo, l' accensione intermittente, il lampo di una luce che aiuti a vedere più che non permetta il giorno turbato dal tanto di notte che contiene. Il lampo isola la notte, ma la legge del lampo nella sua ripetibilità; istantanea, contiene già; il recondito di un discorso. L' artista può vedere collegando le visioni sucessive in un più vasto, perchè più intenso, vedere: appunto intensificato dal sommarsi sucessivo, replicato, dell' is- tantaneità;. è qui che l' opera della mente occorre nella sua naturale costitutività;: essa ricorda la visione come il cielo rocorda il fulmine per il solo fatto che questo lo ha percorso, e quasi precorso.
Il ricordo di Balsamo viene sempre da lontano. è un ricordo finale, ispirato, inventivo per tanto può inoltrarsi in una zona folta: tocca il limite senza esserlo veramente, perchè è un limite revolutivo, in uno stato di crisi. è la crisi di un' azione che sente dentro di sè cambiare senso. Balsamo. Già; con il ricordo, sente l' opposizione a sè stesso nascere e crescere in sè stesso. Mentre egli presume nel ricordo uno specchio sempre più esclusivo (che - non si dementichi - non è quello narcisistico che agisce in taluni artisti come cupio dissolvi), gia è avviato verso l' altro da sè in questa analogia revolutiva della propria azione penetrante.
Col ricordo Balsamo non solo penetra in sè, ma sente soprattutto battere alla porta, sempre più fitto, sempre più urgente, fino all' impazienza, l' Altro, seppur avvicinatosi con passi felpati, magari mimetizzatosi in una simile liquida interiorità;. L' altrui è in questo liquor più fondo dell' essere: quasi il liquor dell' incandescenza agitata, dantascamente, "nel lago del cor", e che debba unicamente coagularsi. Avere una forma è essere altrui in maniera fittizia e diremmo analogica la propria azione - questo è ricordare -, come il ramo si protende in foglie stormenti, in frutti in cui matura e cambia senso tutto lo slancio ascendente.

II.
        La Koinè pittorica di Balsamo, pur con tutte le variazioni, gli influssi e le venature più originali che si sono succeduti durante uno svolgimento di oltre quarant' anni di lavoro, prende avvio nella vasta area del Post-impressionismo. è un' area di non facile definizione e che ha dato luogo a molti equivoci, il primo e più grave dei quali è quello di considerarla come una conseguenza, e a volte addirittura una tardiva rinascenza, dell' Impressionismo; mentre sorprende, al contario, gli spiriti che ad esso reagirono e si opposero, non nell' intenzione di superarlo semplicemente, di andare "al di là;" rimanendo impressionisti di fondo, ma di creare altro dalla tavolozza impressionista, senza ignorarne però la grande lezione liberatoria.
Oltre la solidificazione dei saggi en plei air - ad esempio - di un Monet o di un Renoir, molti altri elementi caratterizzano il Post-impressionismo. Ma essei variano secondo i paesi, gli artisti e gli anni; non serve qui tracciarne l' intera costellazione. Conviene accernarne ancora uno, che invece risulta pertinente a questo tentativo di delimitare il territorio culturale entro il quale cresceva la pittura di Balsamo. Quelle atmosfere e quei contenuti che hanno fatto definire "intimista" un certo modo di cogliere e riprodurre la realtà;, toccando parecchi protagonisti del Post- impressionismo, ne sono risultati quasi una definizione. Ma il termine intimismo appare molto impreciso, poichè esso suggerisce sensibilità; crepuscolari, ripiegamenti in se stessi e insomma quelle vaghe delicatezze di artisti a lenta circolazione sanguigna. Mentre nell' opera di Balsamo si tratta di altro. Dipingere gli interni, le stanze, la luce declinante in essa, la noia dei lunghi pomeriggi, l' accendersi delle lampade; o certe malinconie, certi struggimenti sul paesaggio tra il fulgure dei giardini e la monotonia dei campi coltivati: uno scandaglio che non va più entro gli spessori naturali, ma entro le stratificazioni della spiche; una spazializzazione del tempo e non dell' immagine del suo trascorrere: dipingere tutto questo è l' intimità; del Post-impressionismo di Balsamo, che non per nulla ha un' ampia escursione tra gli spiriti proustiani di Bonnard e le tristezze positive di Vallotton, tra gli intensi tremori di Vuillard e le splendide tessiture policrome di Marquet. Ma in Balsamo si trova, sopra questo e a volte preminente, una Stimmung di spirito nordico, che è cosa inusitata e rara per un pittore mediterraneo. C' è nella sua natura poetica qualcosa di non sempre gioioso e non sempre piacevole, ma di trattenuto, di triste, una sorta a volte di mistero, come un' ombra, un brivido, e una rêverie in più, che lo rendono ben disponibile ed accogliente. La prima provenienza sembra quella svizzero-tedesca e si può spiegare - se si vuole - con i soggiorni a Zurigo e ad Amburgo; ma c' è poi qualcosa che sembra provenire da Munch, qualcosa dall' Ensor paesaggista e pittore di nature morte.
Queste arie nordiche però trascinano meno Espressionismo di quanto si possa credere e "leggere" nei suoi lavori giovanili. Come non è impressionista, Balsamo non è espressionista. Allora subito viene da chiederci che cosa sia. Ecco, proviamo una volta tanto di non voler etichettare a tutti costi la sua opera.

III.
        Dopo l' Autoritratto del 1959, che a ventiquattro anni rivela già; singolari doti di introspezione, sicurezza nel costruire, nel cogliere il tono giusto e quell' aria lieve di malinconia attraverso i mansueti occhi celesti; dopo gli anni romani della Scuola d' Arte di via S. Giacomo e le frequentazioni, più o meno occasionali, di Mario Nafai, Giovanni Omiccioli, Carlo Levi, Santa Monachesi, Ugo Moretti e Pier Paolo Pasolini, nasce d' incanto, ma assai densa di modernità;, la produzione pittorica di Balsamo.
è difficile dire chi potesse stare vicino a quel giovane spensierato e colto, che affrontava la tela con sensibilità;, forza di tocco, prepotenza e delicatezza di vero, istintivo, dolcissimo "poeta" della vita quotidiana.
In quadri come Paesaggio laziale del 1957-58, come Fiori del '59 e Ritratto di ragazza dell' anno appresso, così immediati e freschi ma pur meditatissimi, il colore vibrante usato in accordi, in fusioni o in tratti puri, vi appare tutto intriso di luce e costruisce solo per forza propria i volumi, i piani e lo spazio. La pennellata balsamoiana che forma per tutto il decennio '60 - '70 il fondamento del suo stile, è un elemento di tempra e delicatezze unite, e di rilevente originalità; formale. Non è impressionista, non sfuggente e metereologica, aerea, umida, attenta ai complementari, come quella di Pissaro, Sisley e Manet. Ma strisciata, densa e bellissima materia. Essa porta la luce, poichè il colore non è mirabilmente impastato, e l' opera ne diventa tutta luminosa, non per forti contrasti di chiaroscuro, bensì per trapassi da una luce più violenta a una più tenue, e da un' ombra più chiara a un' ombra più fitta.
Paesaggio toscano del '63 è un coro sommesso di verdi, anzi un frascheggio di verdi, che dagli alberi si riflettono sulla terra, sui muri del cascinale, sulle nuances delle colline e sul cielo, una primavera fragrante e tiepida con la luce che dilaga nel mattino e si perde sulle nuvole lontane. Nelle tele Cortina del '66 - '67 e in Autunno ai castelli romani del '70 le pennellate - come ferite di luce che nervosamente costruiscono la visione - si fanno tanto libere da sfiorare quasi un' astrazione fauve: colore puro, come abbandonato, ma costruttivo, diretto da una sapienza che tiene sempre a freno sia la descrizione fenomenologica, sia la sensualità; del magma quasi formale.
Ma, in quello stesso periodo, quella pennellata rientra nel suo alveo più poetico e tracciare ne Il fiore rosso del '70 e ne La bottiglia bianca dell' anno seguente starti di colore che si sovrappongono e che producono una materia emozionata, un impasto cromatico in cui luce e spirito mescolati insieme palesano stesure in bilico tra impressione ed espressione, tra istinto e ricercatezza, tra gesto veloce e gesto lento. Sono anni fertilissimi e fitti di opere importanti eseguite con una tèkhne inedita: una maggiore definizione, un costruire l' immagine in modo più preciso, a volte persino su schemi e forme geometriche (Natura morta del '74), su tagli nitidi (Bel vasetto del '75), un' evidenza, una solidità;, una linea che segna i volumi, uno spazio non più suggerito ma realizzato e che s' inoltra nell' immagine, si tratti del silenzio abitato di un interno o della distanza suscitata nell' esterno da un corso d' acqua, da un' aia o da un prato.

IV.
        L' impressione che fece a Balsamo la retrospettiva di Arshile Gorky alla XXXI Biennale di Venezia fu enorme: ma non provocò imitazioni, cambiamenti si rotta improvvisi. Quello che apprese dal maestro armeno-statunitense fu un principio dissociativo, come una gran ventata in un mucchio di foglie d' autunno. Non un elemento surrealista passa in Balsamo da Gorky, ma molto più sostanzialmente gli aggregati stretti e quasi a coltello dei suoi quadri vengono come scardinati, ventilati si direbbe, e in questa perentoria areazione perdono i colori scuri. Ma in realtà; il nostro pittore, in questo improvviso sconvolgimento dei suoi motivi iconici, ha individuato un nuovo principio formale, che non è la gamma dei colori chiari tout court.
Con gli oli Inizio si scomposizione del '74, Paesaggio del '75 e Verso l' astrazione del '76, Balsamo capovolge la posizione del quadro, da fondale a schermo. La luce diviene la base espressiva della sua ricerca, non in quanto rappresentata, ma come germe attivo e operante. è quella luce in trasparenza che rende diafani e timbrati i rossi e gli azzurri, che sospende come a mezz' aria i neri dei contorni delle figure geometriche, che permette le sovrapposizioni dei toni diversi come velature. è questa luce che attiva il dinamismo pacato della damiera minuta e orlata, assicura la validità; degli spazi vuoti come quella dei pieni, garantisce in controluce la spontaneità; del colpo di pennello, incancellabile e irripetibile come quello della pittura Zen.
Quasi contemporaneamente, nei testi polimaterici, scompare ogni griglia grafica. Il colore si dispone secondo percorsi indeterminati, divaganti, seguendo il ritmo e gli andamenti del flusso emotivo; la texture è ricca e granulosa, al materia rifrange la luce conferendole brividi sottili. Nasce la stagione dell' informale segnata dalla serie delle "Decomposizioni", dove il colore vale nel suo spessore, nell'opposizione spesso brutale al fondo della tela grezza. La sua corposa e greve materialità;, il suo irrompere sulla superficie per effetto del collage, il suo porsi in disaccordo e comunque in opposizione con gli altri colori, instaura una dialettica vibrante e sonora, sia che si debba ad una "barbarica" manualità; o ad un grido dell' anima che vuole materializzarsi.
Se la poetica dell' art autre porta alle estreme conseguenze l' assunto di una dimensione esistenziale dello spazio a temporalità;, il sentimento del tempo già; passa come una lenta corrente, con i suoi affioranti detriti, attraverso il ciclo "Le evocazioni" che Balsamo dipinge (con l' aiuto dell' aerografo) nel 1978-79. Adesso la sua dimensione si concreta in una profondità non mensurabile, che affiora verso lo spettatore come se sorgesse dalla memoria, certo senza la ricerca di nessuna tridimensionalità, ma anche senza stampagliarsi in superficie. Fra il fondo del quadro e la matassa dei segni non c' è apparentemente alcun rapporto; anzi il fondo è esso stesso figura cromatica, ma tra il fondo e i motivi segnici s' interfoliano come delle lamine di luce, come gli spessori di nebbia, o delle ombre vaganti e retrattili, umide dopo la pioggia, ma tra le cui stille s' insinua il sole.

V.
        Guardando i quadri degli ultimi due decenni di Balsamo si ha la sensazione di entrare in un arcipelago, in una compenetrazione incessante della terra, del mare e del cielo. I fasci ondulati di colore posti generalmente ai margini della composizione, non intendono - è vero - creare un effetto blot, ma suggeriscono una dissolvenza, una dilatazione anche prospettica, una cavità fluente che non si distingue dalla superficie, ma s' identifica con la sua qualità luminosa. Il rivolo di colore si dà come tragitto liminare, ma limpidamente esemplificativo, entro uno spazio la cui infinita e duttile struttura resta, benchè insondabile, intuibile attraverso ogni minimo e disadorno suggerimento organico del medesimo pigmento liberato.
Nelle forme romboidali dei dipinti del '91 il colore è irradiante, per velature o per brillantezza, nudo e vegetante, meramente testimoniale di una tensione lirico-sensitiva, di cui s' impadronisce però un'in- tuizione che sembra tolta allo stesso Mondrian. è una Erfahrung quasi mistica, ma in un misticismo che si risolve e si ambienta in un tipo di ipotesi metascientifica. è un pò allora come in Rothko, sebbene di quest' ultimo interessa a Balsamo soprattutto - tutto sommato - soltanto certa dimensione espansa, infusa nello stato imponderabile del colore, non invece l' ipnotismo, il magnetismo del campo cromatico, che soggioga con la grande dimensione lo spettatore.
Se prima ho fatto il nome di Mondrian, per l' intuizione, che ha Balsamo, di una legge di equilibrio e di ordine, ma perrebbe fuorviante insistere nel paragone. Non di meno, in Mondrian questa intuizione ha una sede mentale, in Balsamo non sembra avere basi di pensiero pensato e di dimensione matematica: non è un' intuizione emergente e classica, come quella di Mondrian, bensì un' intuizione diffusa entro quel sentimento stesso di astrattismo organico, che resta il suo aggancio più profondo, la sua piattaforma di dialogo con un Kandinsky o un Klee.
Il sigillo della riflessiva e silente pittura di Balsamo si snoda come una rete gocciolante al sole, levata dall' abisso dell' inconscio, in una più fitta tensione dei suoi nodi, dei suoi ammassi stellari che costituiscono, ondeggianti in densità diverse, nebulose di segni e colori, di cui l' occhio percepisce che esse rappresentano il confine etico del sentire umano, là dove questo si confonde con un fatto fisico di natura. L' artista vi percepisce i limiti della propria animalità, come il segugio che insegue tracce e odori perdentisi nel fondo degli heideggeriani "sentieri interrotti".
Balsamo cede non tanto all' astrazione lirica, piuttosto, a una ripetitività controllata del gesto che appunto dalla ripetizione intesa come calligrafia, scrittura del segno e del puntinato al limite sorprendente di una bellezza in cui tocca il proprio fatto di coscienza, ricava il suo concetto di straniamento che ogni singolo contatto con la tela o con la carta, si direbbe, irrita e insieme calma rispetto alla misteriosa e altrimenti imprendibile sostanza del reale. Per la più recente esperienza creativa di Balsamo tanto più valgono le conclusioni delle deleuziane Diffèrence et rèpètition: "Il Tutto è uguale e il Tutto torna possono dirsi solo là dove si è raggiunto il punto estremo della differenza. Solo allora è possibile una sola e stessa voce per turro il multiplo delle infinite vie, un solo e stesso Oceano per tutte le gocce, un solo clamorore dell' Essere per tutti gli essenti. Ma occorre che per ogni essente, per ogni goccia e in ogni via, si sia toccato lo stato di eccesso, cioè la differenza li sposta e li traveste, e li fa tornare, ruotando sulla sua mobile estremità".

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